Tutti matti per mattia

Mattia Brunetti, umbro classe 1986, è un giovane ragazzone solare, sorridente, spontaneo e verace, amante del basket e della sua moto. Lo conosco da alcuni anni e, anche se ci siamo frequentati poco, c’è stima e simpatia reciproca. Oltre essere indubbiamente bello (che per il gentil sesso non guasta mai), ha un cuore d’oro e soprattutto una smisurata passione per la cucina.

Figlio di ristoratori, la sua passione per il cibo traspare, come vedremo tra poco, sin da bambino.

Dopo precedenti lavori, a 29 anni decide di prendere in mano il suo futuro e con grande sforzo inizia a farsi le ossa nel difficile mondo della ristorazione. Un giorno viene fermato dal titolare di un’osteria di Gubbio, il quale lo coinvolge nella realizzazione di un piccolo locale dedicato al vino: una piccola vineria. Mattia allora ne disegna il logo e, insieme alla sua famiglia, ne costruisce gli arredi (tutti fatti a mano). La sua simpatia e spontaneità, unite alla qualità dei prodotti proposti, si fanno subito notare e nel giro di pochissimi mesi, il piccolo locale diventa uno dei punti di riferimento dei giovani eugubini, grazie anche alla sua posizione favorevole, in una delle vivaci piazzette del quartiere di S.Martino.

…ma andiamo con ordine e cominciamo a conoscere la storia direttamente da Mattia…

Allora, Mattia innanzitutto ciao. Il tuo amore per il cibo sappiamo che nasce prestissimo. Hai voglia di raccontarci quando nasce?

Mattia: beh praticamente ha la mia stessa età. Inculcato sin dai primi anni d’infanzia, è sempre stato lì, muovendo i primi passi, crescendo, maturando e formandosi proprio insieme a me. Non ho detto “inculcato” a caso: sono nato, infatti, in una famiglia e in un paesino, dove “il-fatto-in-casa” era la routine non l’eccezione. Ho passato la mia infanzia e adolescenza, fisicamente, dentro la cucina della nostra trattoria a conduzione familiare. Mangiavo, studiavo, giocavo lì dentro, osservavo e, quando me lo concedevano, aiutavo. Non lo sapevo ancora, non ne ero consapevole, ma tutto quel contesto, che per me era normale consuetudine, sarebbe poi rimasto impresso in me sotto forma di emozioni indelebili e bellissimi ricordi. C’era, ad esempio, il giorno della produzione di pasta fresca, e allora, in casa si metteva la moka gigante sul fuoco, si compravano i dolcetti del forno di paese e, per ore, partecipavo alla preparazione di lasagne, cannelloni, cappelletti e agnolotti, ascoltando le chiacchiere e i pettegolezzi delle donne. C’era il momento della preparazione di enormi pentoloni di sughi e condimenti, in cui i profumi delle verdure, della carne, del vino riempivano la cucina e le mie narici. Respiravo ogni cosa, ogni odore e ogni movimento. Percepivo la frenesia e la tensione durante il servizio del pranzo domenicale, ma soprattutto ricordo bene il piacere di mangiare tutti insieme alle quattro del pomeriggio, una volta che tutti i clienti erano usciti.
Ma, come in ogni situazione, non era tutto rose e fiori. Per un bambino non è facile avere genitori ristoratori proprio perché è una tipologia di lavoro che impegna moltissimo e costringe a sacrificare spesso gli affetti. A quell’età non lo capivo. Ero arrivato ad odiare anche profondamente quel ristorante, proprio perché teneva i miei genitori lontani da me. Poi gli anni sono passati, e solo recentemente mi sono accorto di quanto in realtà quei profumi, quei sapori, quei gesti, quelle sensazioni siano diventati parte di me.

Abbiamo già raccontato brevemente la tua esperienza nella vineria a Gubbio. Quando e per quali circostanze decidi di iniziare il progetto dell’Enoteca Simona?

Mattia: è una storia assai lunga, piena di piccoli dettagli, ma volendo riassumerla in poche parole, si può dire che fu tutto una coincidenza di cose e tempistiche. Quando decisi che era il momento di staccarmi dalla vineria, avevo bisogno di un periodo sabbatico, lontano da pensieri e responsabilità, in modo da riordinare un po’ le idee. In quel periodo, Giuliano Trippetta, cliente abituale della vineria, aprì con sua figlia Simona un’enoteca a Fabriano, chiamandola “Enoteca Simona” in onore della figlia. Giuliano mi chiese di andare a lavorare con loro. Il mio compito sarebbe stato quello di gestire la sala insieme, appunto, a Simona, mentre Giuliano avrebbe gestito la cucina. Accettai senza pensarci troppo. Lavorare a stretto contatto con Giuliano in quelle settimane mi consentì di imparare molto: Giuliano è davvero un personaggio particolare, ricco di esperienze e di vissuto. Fu un mentore e un maestro in quei mesi e lo rimane tutt’ora. Divenne un amico e credo che lo resterà a lungo.
Passati pochi mesi dal mio arrivo in enoteca, padre e figlia mi proposero di prendere il locale. Non fu una scelta facile. Passai insonne due intere notti, ma alla fine accettai perché mi sembrò una validissima occasione per poter fare a 360° ciò che amavo… e così decisi di buttarmi.

Ma veniamo alle cose serie. Come prende vita e forma un tuo piatto e cosa preferisci cucinare?

Mattia: i miei piatti partono sempre da una base, da uno spunto tradizionale. Da lì poi amo rivisitare, dare un qualcosa in più, un mio tocco, e cerco allora di immaginarmi il piatto in bocca, i suoi sapori e le sue sensazioni. Me lo immagino e penso…ora serve il cremoso, poi il croccante…il dolce, l’amaro…e vado quindi in cerca di un equilibrio. A questo punto studio e scelgo come impiattare: prendo carta e penna e lo disegno. Cerco di costruirlo mentalmente, perché non solo la bocca deve essere appagata…

Per quanto riguarda la cucina in sé, a me piace cucinare tutto. Non ho particolari preferenze. Se devo dire la verità, la pasticceria è il settore che amo meno, per le sue regole così rigide e la sua schematicità… ma non è poi vero del tutto perché in realtà è proprio dalla pasticceria che, quando il risultato mi soddisfa, traggo le maggiori gratificazioni… quindi siamo al punto di partenza… mi piace cucinare tutto!

Raccontaci qualche aneddoto legato all’Enoteca

Mattia: di aneddoti ce ne sono davvero tanti. Ad esempio, ci fu una volta che una situazione drammatica, si rivelò una gran bella serata, ma soprattutto l’inizio di una bella amicizia. La sala era piena, erano le 21:30. Improvvisamente si avverte una scossa di terremoto, va via la luce, si scatena il panico… Scapparono letteralmente via tutti! Non chiesi di pagare a nessuno dal momento che avevo appena servito soltanto gli antipasti. Pensavo se ne fossero andati davvero tutti e invece mi volto verso la sala, e vedo che tre persone (dirigenti Whirlpool) erano rimasti lì seduti al tavolo. Uno di loro, Antonio, mi disse 《Matty noi restiamo… portaci da mangiare, poi siediti qui con noi e ci stappiamo pure una bella bottiglia di vino》. Alla fine le bottiglie di vino bevute divennero due, ma soprattutto nacque in quell’occasione la nostra amicizia. Antonio l’anno successivo cambiò lavoro, passando da Whirpool a Magneti Marelli. Una sera, partì da Bologna con un pulmino di 30 dirigenti e colleghi e li portò a cena da me. Fu un grande piacere rivederlo.

Matty, una domanda che potrebbe sembrare banale, ma vorrei un tuo parere da addetto ai lavori: cosa pensi del rapporto degli Italiani col cibo e soprattutto del rapporto dei giovani con la buona cucina?

Mattia: l’Italiano ha un rapporto col cibo unico al mondo. Tutto quanto riguarda il cibo fa parte della nostra cultura, scorre nelle nostre vene. Se ci pensi la prima cosa che diciamo dopo aver conosciuto una persona é 《dai organizziamo una cena!》. In ogni casa abbiamo le nostre ricette di famiglia, con le quali nasciamo, il nostro confort food… ma cosa ancor più bella, noi siamo gelosi della nostra cucina tipica: guai se mi metti la panna sulla carbonara, sia maledetto chi non frigge le melanzane di una parmigiana e sia scomunicato a vita chi non tratta la pasta e la pizza come si deve. Questa non è solo gelosia. E’ romanticismo allo stato puro. E’ cucina di cuore, viscerale… e in nessun luogo al mondo si percepisce così forte questo legame e questo amore come in Italia!Per quanto riguarda i giovanissimi, mi sembra di notare un loro avvicinamento a questo mondo, molto più rispetto a qualche decennio fa, complici probabilmente il bombardamento mediatico e gli innumerevoli programmi di cucina. Se da un lato questo è un bene perché contribuisce ad avvicinare le persone al mondo della buona cucina, dall’altro ne snatura l’essenza. Chef che diventano fenomeni mediatici, punti di riferimento, di arrivo… che si cimentano in continue gare, prove, con giudici che assaggiano piatti, cercandone i difetti, che magari li lanciano a terra e usano termini come “che schifo”…
non è questa la cucina, e non è vincendo gare in televisione che si diventa cuochi. Credo che si debba fare un passo indietro da questo punto di vista. Credo che questo mestiere, come tutti del resto, non debba essere un’ambizione, ma piuttosto una vocazione.
Ogni cosa deve partire dal rispetto: rispetto per il cibo, rispetto per le persone e per chi magari decide, quella sera, di venire a mangiare da te.
E poi ci deve essere consapevolezza: la consapevolezza di avere nei confronti del cliente una responsabilità, e allo stesso tempo un’occasione, di poter lasciare un ricordo di quella cena, una sensazione, un profumo, un sapore che potrà rimanere impresso nella memoria a lungo o per sempre.
Personalmente quando sono in Enoteca, la mia ambizione è e sarà sempre la stessa:

provare, non a comporre un piatto, ma a cucinare un ricordo

Sapevo di trovare una persona genuina, una di quelle persone che ti parlano col cuore, che ti fissano negli occhi, con uno sguardo diretto e sincero. Queste sono le persone che io amo, platonicamente s’intende: quelle persone in cui vedi ardere negli occhi il fuoco della passione, qualunque essa sia, che non hanno paura di rischiare e di lottare per raggiungere gli obiettivi prefissati…ma lo fanno onestamente, mettendosi in gioco e soprattutto dando il proprio meglio, con costanza, ogni giorno.

Sapevo più o meno esattamente in quali termini mi avrebbe descritto il suo amore per la cucina. Lo sapevo perché ho avuto il grande piacere di andare a cena alcune volte all’Enoteca. Il locale è uno di quei luoghi rilassanti e non troppo formali, ma perfetti per cene tra amici o romantiche. E risulta perfetto proprio perché Mattia è un meraviglioso padrone di casa, accogliente, cordiale e attento.

Quando questa emergenza Covid19 sarà finita, non vedo l’ora di tornare a cena da lui. Non vedo l’ora di vederlo, a fine servizio, sedersi al nostro tavolo con un buon bicchiere di vino, chiacchierando di mille possibili progetti.

Ho voluto iniziare con lui, Mattia, la mia sezione di articoli dedicata alle persone che amo (sempre platonicamente) perché per tante cose ci assomigliamo, anche se ciascuno ha percorso la sua strada, tra curve, deviazioni e ponti da attraversare…sempre però spinti dalla passione che smuove le montagne e fa girare il mondo.

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