
Gubbio definita comunemente “la più bella città medievale”, conserva di quel lontano periodo l’assetto urbano, gli edifici, le strade, le opere d’arte.
Dal punto di vista geografico, la città è situata nella valle della Saonda. La valle forma un’ampia pianura coltivata e Gubbio (494 m s.l.m.) sorge sul bordo settentrionale, ai piedi di una linea di scoscese colline di pietra calcarea. Dietro le colline si innalzano gli Appennini, in una serie di massicci di pietra calcarea. La città stessa è sovrastata dal Monte Ingino (m 908), con il Monte Foce a nord-ovest e il Monte Ansciano a sud-est. Il Monte Ingino e il Monte Foce sono separati dalla stretta e ripida valle del torrente Camignano.
Urbanisticamente, invece, è divisa nei quartieri di San Martino, San Giuliano, Sant’Andrea e San Pietro, e circondata quasi interamente dalle antiche mura, che già il vescovo Sant’Ubaldo fece erigere a difesa della città quando la volle ricostruire sui declivi del Monte Ingino invece che nella piana sottostante, dove era collocato il centro abitato in età romana. Lungo questa cinta si dispongono numerosi torrioni e le varie porte: Metauro, Castello, Degli Ortacci, Vittoria, Romana e di Sant’Ubaldo.
prima dell’anno 1000 d.C.
Gubbio, già nella prima metà del V secolo d.C., disponeva di un apparato ecclesiastico sufficientemente consolidato, che acquistò ancora maggiore credibilità grazie alla traslazione in città delle reliquie dei martiri africani Mariano, Giacomo, Secondino, Agapito, Antonia e Tertulliana. Con ciò, la completa cristianizzazione della città può considerarsi un fatto compiuto.
Con la caduta dell’Impero Romano, la città subì invasioni, distruzioni e conseguenti trasformazioni: nel 542 sarebbe stata rasa al suolo dalle truppe di Totila e le aree pianeggianti della città vennero definitivamente abbandonate, con una contrazione dell’abitato a monte del Camignano e scomponendosi in più parti dalle caratteristiche eterogenee.
Alle successive devastazioni prodotte dai Goti, fece seguito una ricostruzione parziale della città da parte di Narsete (generale bizantino), compreso il consolidamento del castelliere preistorico sulla cima del Monte Ingino.
Tra VII e VIII secolo, alcuni documenti di tipo storico-letterario fanno pensare ad una temporanea occupazione longobarda della città, testimoniata dalla trasformazione, attuata da Desiderio, del teatro romano in fortezza e alla definizione nella parte alta della città (in corrispondenza del cortile del Palazzo Ducale) di una sede direzionale costituito da un palazzo con corte.
Gubbio, quindi, non era affatto in quest’epoca una città morta, ma piuttosto un luogo in cui l’interferenza fra Bizantini, Romani, Longobardi con le sopravvissute componenti locali aveva creato quella vitalità necessaria per il sorgere e lo sviluppo di nuovi insediamenti. La città, benché contratta, veniva ad organizzarsi intorno a due nuclei principali: il primo, in pianura, in corrispondenza della cattedrale di San Mariano; il secondo, sulle pendici del monte, riferito alla “corte” altomedievale, a cui si affiancavano la chiesa-monastero dei Santissimi Apostoli (chiesa di San Pietro), la fortezza-teatro e il sepolcreto di porta degli Ortacci. Dalla contrazione dell’abitato nasce dunque una città non solo più piccola, ma anche sostanzialmente diversa da quella di età romana.
La sconfitta dei Longobardi e l’ingresso di Carlo Magno a Gubbio lasciò in città numerosi cavalieri che, facendo leva sulle proprie risorse e vocazioni, avevano contribuito a munire il contado di un solido sistema di fortificazioni, grazie anche alla forte valenza religiosa delle reliquie di San Giovanni. L’ennesima (anche se solo ipotetica) distruzione della città da parte degli Ungari nel 917 è probabile che abbia comportato solo un temporaneo rallentamento dei processi di riorganizzazione urbana e territoriale; molto rapidamente, infatti, quei processi presero nuovo vigore, giovandosi, nella seconda metà del X secolo, anche dell’apporto di quei cavalieri germanici che, venuti al seguito dell’imperatore Ottone I, si erano stabiliti a Gubbio e avevano contribuito all’ascesa della locale componente aristocratico-militare. È possibile, dunque, che i nobili abbiano ricoperto un ruolo di primo piano nell’opera di ricostruzione, affiancando i vari ordini monastici (variamente collegati ai Benedettini) che avevano consolidato notevolmente la propria organizzazione e assunto un ruolo di primaria importanza sia in campo religioso che politico.
cavalieri, ecclesiastici, popolo e consoli
Se è presumibile che nei primi secoli dell’alto medioevo la componente sociale eugubina sia stata contraddistinta da una sostanziale omogeneità, nel corso del X e XI secolo sembrò definirsi una divisione, in cui ogni gruppo mirava a staccarsi progressivamente e a distinguersi dagli altri. Allo stesso modo, i vari luoghi della città tendevano ad essere collegati sempre più direttamente ad ognuna delle forze in gioco e ad assumere un proprio specifico assetto. Da una parte si definì un nucleo urbano feudale, edificato ed egemonizzato dai successori dei cavalieri franchi e germanici, dall’altra uno ecclesiastico-popolare, collegato al vescovo e in via subordinata ai consoli.
L’assetto della città diviso in due nuclei, uno aristocratico e l’altro popolare, venne messo in crisi dalla tendenza allo sviluppo di ciascun nucleo originario. In assenza di un forte e accentrato apparato di governo, le immediate pendici del monte risultavano essere le più idonee per ulteriori ampliamenti. Pertanto, l’antichissimo asse stradale (attuale Via dei Consoli) diventò il principale asse di espansione dell’abitato, luogo di saldatura ma anche di attrito dei due principali nuclei urbani.
Nel XII secolo la città posta in pianura si contrasse e l’abitato iniziò a svilupparsi sulle pendici del Monte Ingino, dove vennero edificati i luoghi strategici dell’esercizio del potere e della vita spirituale, la cattedrale e il palatium communis, l’antico palazzo comunale.
Il vescovo Ubaldo Baldassini, l’età comunale e il nuovo assetto urbano
Nella prima metà del XII secolo, si poneva come elemento essenziale la necessità di gestire e direzionare l’espansione della città verso le pendici del Monte Ingino, superando le cesure naturali ed artificiali (dislivelli e mura umbre) e, nei documenti storici, questa attività è direttamente collegata alla emblematica figura del vescovo Ubaldo Baldassini (1130 – 1160). L’incendio del 1127, verificatosi nella città bassa, che sembra aver provocato anche la distruzione della chiesa di San Mariano, potrebbe essere stato il motore da cui presero il via una serie di opere di restauro e costruzione, anche se in forme episodiche, di nuovi nuclei a monte delle mura umbre.
La città divenne, sempre nel XII secolo, libero Comune e iniziò un periodo di grande ricchezza dal punto di vista politico, sociale, culturale e artistico. L’autorità dei Consoli mirava ad una sempre maggiore autonomia a discapito di quella vescovile, con la necessità di fortificare e riorganizzare la parte alta della città, inserendosi quindi tra i possedimenti dell’abbazia di San Pietro e le rocche del Monte Ingino.
Sorsero numerose chiese e palazzi, si svilupparono scuole pittoriche, di ceramisti, di intagliatori e di miniatori.
L’importanza rivestita dal torrente Camignano nell’assetto complessivo della città è provata dalla intensa attività economica che ruotava attorno ai mulini (della Foce, di San Giovanni, di ponte Marmoreo, ecc.) che ne scandivano il percorso. Lo stretto collegamento fra mulini e ponti faceva sì che il fiume costituisse l’asse portante di un sistema capace di fornire alla città bassa una struttura fondata su necessità di carattere economico e produttivo.
Lo spostamento del centro urbano verso il monte venne ufficializzato e reso definitivo solo negli ultimi dodici anni del XII secolo, quando papa e imperatore manifestarono l’intenzione, attraverso formali concessioni, di edificare la nuova città. Nel 1188 papa Clemente III concedeva formalmente al vescovo eugubino Bentivoglio di trasferire le reliquie dei santi dall’antica alla nuova città. Dai documenti storici si evince che negli anni 1188-1194 il vescovo confermò alla canonica di San Mariano l’integrità di tutti i suoi beni e che la nuova Cattedrale dedicata sempre a San Mariano, almeno nelle sue strutture essenziali, era già costruita. Essa faceva parte di un nucleo edilizio assai consistente e articolato che aveva ormai assunto una precisa fisionomia e insostituibile funzione nel nuovo contesto urbano.
In seguito alla canonizzazione di Ubaldo (1192) i vari nuclei della città si disputarono le spoglie del santo. Si giunse definitivamente ad un accordo: Ubaldo sarebbe stato seppellito sul Monte Ingino, sancendo così la congiunzione tra antiche e nuove tradizioni religiose, la vittoria sul potere imperiale e la “distanza” storica e spaziale tra il santo e la nuova città. Nonostante la vittoria papale, il trasporto del corpo di Ubaldo sul monte avvenne con tutti i crismi di un rito pagano: il vescovo decise di collocare il feretro su un carro trainato da due tori e di seppellire Ubaldo nel luogo in cui il carro si sarebbe fermato. La traslazione avvenne l’11 settembre 1194. A questa data può essere ricondotta la definizione simbolica del complesso rituale di fondazione della nuova città. Da quel momento fu nuovamente il “monte”, consacrato a “Beato Ubaldo”, il polo ideale di ogni operazione sulla città. E ancora, alla fine del XII o più probabilmente all’inizio del XIII secolo, la reliquia più venerata della comunità, il corpo incorrotto del patrono Ubaldo venne traslato in cima al monte, in una chiesa appositamente dedicata.
In prossimità della nuova cattedrale, sorsero i principali edifici pubblici e religiosi, in un punto sopraelevato, dominante la sottostante vallata e visibile da ogni punto della città: il palatium comunis o dei Consoli, la platea comunis o piazza grande, il pro Aulo (un edificio aggiunto al palazzo del comune posto a valle, poggiante su pilastri e aperto su tre lati), la fons arenghi sita in mezzo alla piazza, il conductus sive acqueductus che portava acqua alla città e il “conservone” dell’acqua, il palazzo del podestà, la canonica con il relativo chiostro e torre campanaria e anche il primo nucleo militare del cassero posto a ridosso delle mura.
Il centro del nuovo insediamento era occupato dalle fabbriche rappresentative della autorità vescovile e di quella consolare: Cattedrale, palazzo e piazza comunale. Oggi, però, le loro caratteristiche originarie sono ricavabili solo parzialmente grazie ai documenti e ad una serie di campagne archeologiche poiché alterate da profonde manomissioni, soprattutto in età feltresca.
Il processo di espansione di Gubbio subì una brusca interruzione a partire dalla metà del XIII secolo, con la morte di Federico II, a causa di un perenne stato di agitazione e ostilità dei nobili nei confronti dell’autorità comunale, insieme alla volontà dei ceti mercantili ed imprenditoriali di riassumere il governo della città. Questi contrasti lasciarono Gubbio in uno stato di estrema debolezza, che si tradusse, sul piano territoriale, sia in una più netta frattura tra la città (nuovamente guidata da consoli) e le zone del contado ancora controllate dai feudali, sia in lunghe lotte con Perugia per l’egemonia della valle umbra e dei territori verso le Marche.
Progressivamente, l’influenza papale sulle questioni territoriali eugubine si fece sempre più evidente, soprattutto perché il contado di Gubbio acquisiva sempre maggiore importanza strategica in relazione all’acuirsi delle lotte fra città guelfe (Spoleto e Perugia in primis) e ghibelline (appoggiate dai Montefeltro). L’autorità vescovile, nella seconda metà del Duecento, coordinò anche una serie significativa di interventi urbanistici, finalizzati ad esprimere la presenza in città delle componenti ecclesiastiche.
In sostituzione dei “vici” fu adottato un impianto per quartieri, ognuno dei quali era riferito ad una chiesa parrocchiale sia nelle necessità cultuali che rappresentative: il quartiere di Sant’Andrea nella parte alta della città a oriente; il quartiere di San Pietro, dalla via di Mezzo fino all’omonima abbazia; il quartiere di San Giuliano sulla riva sinistra del Camignano; il quartiere di San Martino corrispondente all’antico insediamento feudale sulla riva destra del fiume e inglobato nella nuova cerchia muraria forse solo nell’ultimo ventennio del XIII secolo, con la consacrazione dell’omonima chiesa (oggi dedicata a San Domenico).
Accanto alla ridefinizione dei limiti della città, venivano avviati e portati a termine tutta una serie di interventi miranti a dare maggior risalto agli edifici ecclesiastici. La Cattedrale, ad esempio, acquistò in questo periodo una dimensione chiaramente monumentale, e nel giro di qualche decennio vennero fondati il monastero di Sant’Agostino, la chiesa di San Francesco e, a conclusione di tale processo nel 1286, la chiesa di San Martino. Le tre nuove chiese, ponendosi ai margini dell’abitato e in rapporto con la Cattedrale, venivano a delineare un impianto cruciforme che forniva una precisa matrice organizzativa a tutta la città e ne rendeva evidente la suddivisione in quartieri. L’asse longitudinale della “croce” era definito dalla chiesa di San Francesco e dalla Cattedrale, quello trasversale dalla chiesa di San Martino e da Sant’Agostino. Il centro era occupato dalla chiesa di San Giovanni, che come le estremità dello schema fu ricostruita e, al primitivo impianto romanico, venne sostituita una fabbrica più imponente, il cui impianto, a navata unica con quattro archi, risulta contemporaneo a quello delle maggiori chiese gotiche cittadine.
Contemporaneamente anche molte delle chiese minori venivano interessate da opere di ristrutturazione o restauro, con particolare attenzione per quelle poste a ridosso delle porte degli ordini mendicanti. La porta urbica costituiva, infatti, il tramite perché le modalità amministrative della città potessero essere estese al contado. L’intervento ecclesiastico era dunque finalizzato, oltre che a “riconsacrare” gli ingressi della città, anche a prendere possesso di tutto il contado, relazionandolo, grazie alle porte e alle parrocchie, con la nuova suddivisione per quartieri.
il XIV secolo
All’inizio del XIV secolo, appariva sempre più difficile il rapporto tra l’organizzazione sociale e l’architettura della città, soprattutto per la posizione decentrata della residenza comunale, che contrastava con l’esigenza di offrire agli Eugubini (ma anche alle genti del contado) un riferimento a diretto contatto con le nuove componenti urbane. Per di più, mentre i centri del potere (chiese e palazzo comunale) occupavano posizioni periferiche, al centro della città rimaneva un’area inedificata, denominata “Fosso”, che fungeva da elemento di separazione dei vari quartieri. Nel 1321 viene dunque decretata la costruzione del palazzo “del Popolo”, di quello “del Podestà” e della piazza pensile, in un’area dal valore fortemente simbolico di “centro”, pertinente a tutti i quartieri ed equidistante da essi, principale riferimento per ogni luogo dell’abitato e della vallata circostante. Per conferire maggiore ufficialità all’evento, venne istituita una commissione di cittadini, in rappresentanza di ogni quartiere, presieduta da Cante Gabrielli in quanto maggior rappresentante della civitas, la cui figura venne a sostituirsi a quella dei santi e martiri cristiani (Mariano, Ubaldo, Francesco) nel ruolo di “fondatore” e garante dei nuovi insediamenti, sancendo così la supremazia del governo comunale su ogni altro tipo di autorità. La coscienza dell’autonomia comunale, doveva costituire, infatti, il fondamentale presupposto e movente ideologico dell’ambizioso progetto. Il periodo compreso tra la delibera di costruzione dei palazzi e l’inizio effettivo dell’opera (1321-1332) venne probabilmente impiegato in varie operazioni preliminari, come il reperimento di fondi per la sistemazione delle strada a monte e a valle del “Fosso” e lo scavo delle fondamenta. Nel 1342 il Palazzo dei Consoli era quasi terminato, mentre il palazzo del Podestà e la realizzazione della piazza proseguivano a rilento. Il Palazzo del Podestà venne consegnato alle autorità nel 1349.
Con la costruzione dei palazzi, la città acquisì un nuovo baricentro, l’axis urbis, asse di simmetria della nuova piazza, sostituì lo schema cristiano della crux basilicarum e divenne la fondamentale matrice dell’organizzazione cittadina
Nel 1350 Giovanni Gabrielli, con un colpo di mano, si impadronì della città, proclamandosi signore e ponendo fine all’esperienza di libero Comune.
Gubbio e i duchi di montefeltro
La lunga serie di lotte interne, conseguenti alla temporanea presa di potere di Gabrielli, si risolse nel 1384 con la sottomissione di Gubbio al conte Antonio da Montefeltro. A partire da tale data la città entrò a far parte dello Stato di Urbino, quasi senza soluzione di continuità fino al 1632, quando con la morte dell’ultimo dei duchi tutti i territori del Ducato vennero incamerati nello Stato Pontificio
L’avvento dei Montefeltro poneva fine ad un periodo di instabilità e dava luogo ad una nuova fase di sviluppo (economico, demografico ed urbanistico) che si sarebbe protratta almeno fino alla fine del Quattrocento.
Nel 1384, all’interno di un nuovo assetto geopolitico e grazie alla fitta rete di alleanze strette dai Montefeltro, la città respirava a pieni polmoni quanto di più moderno veniva proposto sul versante della cultura e delle arti figurative. Fu un periodo di floridezza civile e artistica. Nel XV secolo, Gubbio grazie alla sua particolare posizione territoriale si configurava come un avamposto di frontiera e per questo tenuta in grande considerazione dai Duchi di Urbino, soprattutto da Federico di Montefeltro, reggente da 1444. Se con Antonio e Guidantonio aveva preso corpo l’ambizione feltresca di espandere lo stato di Urbino verso il territorio umbro, fu con Federico che venne risolto il problema di creare un legame solido e duraturo fra il nucleo centrale dello stato e la sua “periferia” umbra, con una serie di azioni volte a proteggere quell’area di saldatura fra Montefeltro ed Eugubino che costituiva la parte debole dello Stato di Urbino: ampliamento territoriale e costruzione (o ristrutturazione) di rocche e palazzi apparivano come elementi fortemente correlati di uno stesso piano espansionistico, all’interno del quale Gubbio occupava una posizione di primo piano.
Con la costruzione del Palazzo Ducale, l’aulica cultura rinascimentale della corte feltresca metteva piede a Gubbio, avviando un sofisticato processo di rinnovamento artistico locale, che nel giro di poco si concretizzò nell’architettura, nella scultura, nella pittura e nelle arti applicate.
Fra i principali interventi realizzati durante il periodo della signoria dei Montefeltro–della Rovere vanno anche segnalati l’ampliamento del quartiere di San Martino, il completamento della piazza pensile, il potenziamento delle fortificazioni e del sistema ospedaliero, la pavimentazione di varie strade. Si assiste anche ad un’intensa opera di trasformazione degli edifici ecclesiastici.
…in conclusione…
La bella e medievale Gubbio mostra orgogliosa i resti delle sue vicende storiche. Alcuni sono nascosti tra i vicoli o inglobati in strutture posteriori, altri, invece, svettano nelle piazze baciati dal sole del tramonto. Probabilmente i suoi abitanti, abituati a cotanta bellezza, non fanno più troppo caso a tutto questo, ma io – che qui abito da poco più di 5 anni – ancora mi stupisco di fronte a scorci imprevisti, a vicoli sconosciuti, o giochi di luce sui muri.
Ora che sapete a grandi linee le vicende storiche del periodo medievale, non vi resta che aspettare la seconda parte del racconto e scoprire i principali monumenti. Senza la pretesa di “fare da guida” a nessuno, in realtà non sopporto quando un turista va a visitare un luogo senza prima (o durante) leggere qualcosa di quel luogo. Di fronte a tanta ignoranza dilagante, mi piace pensare di dare un piccolo contribuito alla valorizzazione della cittadina in cui ora abito.